sabato 15 ottobre 2016

Il Guardiano di Greggi - VIII

Fernando Pessoa
Il Guardiano di Greggi - VIII

Un mezzogiorno di fine primavera
ebbi un sogno come una fotografia.
Vidi Gesù Cristo scendere sulla terra.
Scese lungo il fianco di un monte,
ritornato bambino,
correndo e rotolandosi sull'erba
e cogliendo fiori per gettarli via
e ridendo che lo si sentiva da lontano.
 
Era scappato dal cielo.
Era troppo nostro per fingersi
la seconda persona della Trinità.
Nel cielo era tutto falso, tutto in disaccordo
da fiori e alberi e sassi.
Nel cielo doveva stare sempre serio
e di tanto in tanto farsi uomo un'altra volta
e risalire in croce e stare sempre a morire
con una corona di spine sulla fronte
e i piedi trafitti da un chiodo,
e perfino con uno straccio intorno ai fianchi
come i negri nelle illustrazioni.
Non permettevano neppure che avesse padre e madre
come gli altri bambini.
Suo padre era due persone:
un vecchio chiamato Giuseppe, che faceva il falegname
e che non era suo padre;
e l'altro padre era una colomba stupida,
l'unica colomba brutta del mondo
perchè non era di questo mondo e non era una colomba.
E sua madre non aveva amato prima di averlo.
Non era donna:era una valigia
in cui egli era venuto dal cielo.
E pretendevano che lui, che era nato solo dalla madre,
e che mai aveva avuto padre da amare e rispettare,
predicasse la bontà e la giustizia!
 
Un giorno che Dio stava dormendo
e lo Spirito Santo svolazzava,
egli andò alla cassa dei miracoli e ne rubò tre.
Con il primo fece sì che nessuno sapesse che lui era fuggito.
Con il secondo si creò eternamente umano e bambino.
Con il terzo creò un Cristo eternamente in croce
e lo lasciò inchiodato alla croce che c'è in cielo
e che serve di modello alle altre.
Poi fuggì verso il sole
e scese con il primo raggio che gli capitò.
Oggi vive con me nel mio villaggio.
E' un bambino bello di riso e naturale.
Si pulisce il naso al braccio destro,
sguazza nelle pozzanghere,
coglie i fiori e li ama e li dimentica.
Tira sassi agli asini,
ruba la frutta negli orti
e fugge piangendo e gridando dai cani.
E poiché sa che la gente si diverte
e le ragazze si arrabbiano,
corre loro dietro
quando vanno a gruppi per la strada
con le anfore sulla testa
e solleva loro le gonne.
 
A me ha insegnato tutto.
Mi ha insegnato a guardare le cose.
Mi addita tutte le cose che ci sono nei fiori.
Mi mostra come sono belli i sassi
quando li teniamo in mano
e li guardiamo lentamente.
 
Mi parla molto male di Dio.
Dice che è un vecchio stupido e malato
che sta sempre a sputare sul pavimento
e a dire indecenze.
La Vergine Maria passa le serate dell'eternità a fare la calza.
E lo Spirito Santo si gratta col becco
e si appollaia sulle sedie e le sporca.
In cielo tutto è stupido come la Chiesa Cattolica.
Mi dice che Dio non capisce niente
delle cose che ha creato -
“Ammesso che le abbia create lui, cosa di cui dubito” -
“Egli dice per esempio che gli esseri cantano la sua gloria,
ma gli esseri non cantano niente.
Se cantassero sarebbero cantanti.
Gli esseri esistono e basta,
per questo si chiamano esseri.”
E poi, stanco di parlare male di Dio,
il Bambino Gesù si addormenta fra le mie braccia
e io lo porto in collo verso casa.
… … … … … … … … … … … … … … …
Egli abita con me nella mia casa a metà del colle.
Egli è l'eterno bambino, il dio che mancava.
Egli è l'umano che è naturale,
egli è il divino che sorride e gioca.
Ed è per questo che io so con ogni certezza
che egli è il vero Gesù Bambino.
 
E il bambino così umano da essere divino
è questa mia quotidiana vita di poeta,
ed è perchè cammina sempre con me che io sono poeta sempre
e che il mio minimo sguardo
mi riempie di sensazioni,
e che il più piccolo suono, da qualunque cosa esso provenga,
sembra parlare con me.
 
Il Nuovo Bambino che abita dove vivo
dà una mano a me
e l'altra a tutto ciò che esiste
e così andiamo tutti e tre per ogni sentiero,
saltando e cantando e ridendo
e godendo il nostro comune segreto
che è di sapere dappertutto
che non c'è mistero nel mondo
e che tutto vale la pena.
 
Il Bambino Eterno mi accompagna sempre.
La direzione del mio sguardo è il suo dito puntato.
Il mio udito allegramente attento a tutti i suoni
è il solletico che scherzando mi fa alle orecchie.
 
E stiamo così bene l'uno con l'altro
in compagnia di tutto
che mai pensiamo l'uno all'altro
ma viviamo uniti tutti e due
con un intimo accordo
come la mano destra e la mano sinistra.
 
La sera giochiamo ai cinque sassolini
sulla soglia di casa,
gravi come si conviene a un dio e a un poeta,
e come se ogni sasso fosse tutto un universo
e dunque fosse un grande pericolo per esso
lasciarlo cadere per terra.
 
Poi io gli racconto storie delle cose solo degli uomini
ed egli sorride, perchè è tutto incredibile.
Ride dei re e di coloro che non sono re,
e si addolora a sentir parlare delle guerre,
e dei commerci, e delle navi
che diventano fumo nell'aria degli alti mari.
Perchè egli sa che a tutto questo manca quella verità
che un fiore ha nel fiorire
e che va con la luce del sole
a cangiare monti e valli
e a far dolere negli occhi i muri di calce.
 
Poi egli si addormenta e io lo corico.
Lo porto in braccio dentro casa
e lo corico spogliandolo lentamente,
come seguendo un rituale molto pulito
e tutto materno, finchè non è nudo.
 
Egli dorme nell’anima mia
e a volte si sveglia di notte
e gioca coi miei sogni.
Certi li butta a gambe all’aria,
certi li mescola e li confonde
e batte le mani da solo
sorridendo al mio sonno.
… … … … … … … … … … … … …
Bambino, quando io morirò,
che possa essere io il bambino, il più piccolo.
Prendimi tu in braccio
e portami dentro la tua casa.
Spoglia il mio essere stanco e umano
e coricami nel tuo letto.
E raccontami storie, casomai mi svegliassi,
per farmi riaddormentare.
E dammi i tuoi sogni perché io ci giochi
finché non spunti un qualche giorno
che tu sai quale sia.
… … … … … … … … … … …
Questa è la storia del mio Gesù Bambino.
Per quale motivo mai
non dovrebbe essere più vera
di tutto quanto i filosofi pensano
e di tutto quanto le religioni insegnano?

Fernando Pessoa
 

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