martedì 12 aprile 2016

incantamento

Javier Marias

C'è un verbo inglese, to haunt,  c'è un verbo francese, hanter, molto imparentati e piuttosto  intraducibili, che denotano ciò che i fantasmi fanno con i luoghi e  con le persone che frequentano o spiano o rivisitano; inoltre,  secondo il contesto, il primo può significare incantare, nel senso  féerico della parola, nel senso di incantamento, l'etimologia è  incerta, ma a quel che sembra entrambi provengono da altri verbi  dell'anglosassone e del francese antico che significavano dimorare,  abitare, sistemarsi permanentemente (i dizionari sono sempre  divertenti, come le carte geografiche).

 Forse il legame poteva  limitarsi a questo, a una specie di incantamento o haunting, che a  ben vedere non è altro che la condanna del ricordo, del fatto che gli  eventi e le persone ritornino e appaiano indefinitamente e non  cessino del tutto né passino del tutto né ci abbandonino mai del  tutto, e a partire da un certo momento dimorino o abitino nella  nostra testa, da svegli o in sogno, si stabiliscano lì in mancanza di  luoghi più confortevoli, dibattendosi contro la propria dissoluzione  e volendo incarnarsi nell'unica cosa che rimane loro per conservare  il vigore e la frequentazione, la ripetizione o il riverbero infinito  di ciò che una volta fecero o di ciò che ebbe luogo un giorno:  infinito, ma ogni volta più stanco e tenue.

 Io mi ero trasformato in  quel filo.



Domani nella battaglia pensa a me
    Javier Marias

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