martedì 9 febbraio 2016

Albero azzurro

Poesia femmina
Joumana Haddad
Albero azzurro Quando i tuoi occhi incontrano la mia solitudine il silenzio diventa frutto e il sonno tempesta si socchiudono porte proibite e l’acqua impara a soffrire. Quando la mia solitudine incontra i tuoi occhi il desiderio sale e si spande a volte marea insolente onda che corre senza fine nettare che cola goccia a goccia nettare più ardente che un tormento inizio che non si compie mai. Quando i tuoi occhi e la mia solitudine si incontrano mi arrendo nuda come la pioggia generosa come un seno sognato tenera come la vite che matura al sole molteplice mi arrendo una brace in ogni occhio finché nasca l’albero del tuo amore tanto alto e ribelle tanto alto e tanto mio freccia che ritorna all’arco palma azzurra piantata nelle mie nuvole cielo crescente che niente fermerà. Joumana Haddad (Traduzione di Oriana Capezio)
«Non so se si possono ‘definire’ veramente, le caratteristiche di una poetica, spesso troppo lunatica e capricciosa (almeno cosi la vedo io) per accettare di essere definita. Comunque direi che nel mio caso essa risiede soprattutto nella fisicità della parola e nella chimica del fuoco; nel rifiuto di delimitarsi, rassegnarsi e stabilirsi; nella libertà assoluta (e terrorizzante) di una mutabilità continua, di una precarietà minacciosa; nel non voler essere lineare, prevedibile e afferrabile: insomma, nell’esercizio dell’inquietudine, e nella disciplina della ricerca: l’inquietudine come motore di vita, e la ricerca come un perseguimento palpabile di me stessa, cioè del mondo, del ‘tutto’, attraverso la cellula più piccola, più insignificante, dell’io. Perciò quest’atto di scrivere con le unghie, perciò questa ferocia, o piuttosto auto-ferocia: scrivere poesia è sempre stato, per me, sinonimo di scavare dentro, nonostante il dolore, le ferite, la paura, i dubbi, i vermi, la polvere, il buio. Scavare nella carne della carne dell’anima. Nella carne della carne del corpo. Nella carne della carne dell’immaginario. Scavare per scoprire cosa c’è sotto, non per arrivare alla fine di un tunnel. Scavare con l’impazienza di una golosa, con la sensualità di un’impudica, con l’umiltà di una perdente, e con la spietatezza di una criminale. Scrivere è anche sinonimo di sfidare. Sfidarmi. Sfidare gli altri non m’interessa. E, se a volte provoco, questa provocazione è solo un “danno collaterale”, mai uno scopo in se stesso.»

tratto da:
La verità del corpo - Intervista a Joumana Haddad link esterno - di Lello Voce


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