sabato 23 gennaio 2016

Al sogno di quella notte, poi, mancavano solo i sottotitoli.





Ricordo ogni ora di quella notte a cavallo tra la domenica e il lunedí. Forse la peggiore della mia vita. Volendo usare un eufemismo, potrei dire che mi ero alzata di cattivo umore, ma la verità è che mi ero svegliata in malafede. Proprio cosí. Ero avvelenata, nauseata dalla rabbia. Tutto ciò che provavo era sporco. Il sogno che avevo fatto mi faceva sentire stupida e ingannata. Detestavo me stessa, la vita che conducevo, le bugie che raccontavo a casa, la lista delle buone ragioni che aggiornavo come un software per giustificarmi. Detestavo soprattutto lui, che nell’ultima telefonata non era stato all’altezza delle mie provocazioni. Persino il suo nome, quel nome che avevo trovato esilarante fin dalla prima volta in cui l’avevo sentito e appena mi tornava in mente mi riattizzava un bisogno, tra l’animalesco e l’infantile, di dargli piccoli morsi (a proposito, si chiama Modesto: il che non sarebbe esilarante, se di cognome non facesse Fracasso), adesso mi procurava non sapevo che fastidio.
[...]
Ce l’avevo con lui. Terribilmente. Anche se non avevamo litigato. Anche se non avevo un torto specifico da riparare. Anche se, a parte il sogno, non c’era motivo di rovesciargli addosso tutta quella rabbia. Trovarlo cosí sprovveduto nel difendersi aveva abbassato la mia stima per lui. Da quella telefonata avevo capito che le cose stavano diversamente da come me l’ero raccontate. Potevo dettare legge, stabilire nuove condizioni del nostro rapporto, bastava che minacciassi semplicemente di romperlo; e questa scoperta, invece di rassicurarmi, m’incattiviva. Volevo rifarmi. Rendergli la vita difficile.
 
Lo so, sembra un’ammissione di crudeltà. Come di chi confessi di provare piacere nell’infierire su chi è già caduto e non si difende. Infatti oggi me ne vergogno. Ma in quel momento non mi sentivo affatto ingiusta: credevo – ma davvero – di meritarmelo, quel potere. Di avere diritto a una piena soddisfazione. Per questo, l’esasperazione a cui volevo condurlo mi pareva un prezzo corretto da esigere.
 
E poi c’era quel sogno, che aveva reso tutto cosí chiaro. Io li prendo seriamente, i sogni. Credo che siano dei consigli sotto forma di racconto. Saranno anche, come molti pensano, la messa in scena delle nostre paure (tant’è che non c’è sogno, neppure il piú felice o divertente, che non ti tenga sempre un po’ in ansia, come se anche nei momenti piú allegri avessi ragione di aspettarti il peggio all’improvviso); ma non c’è niente come guardare in faccia le proprie paure che aiuti a superarle.
 
Questo non vuol dire che prenda per oro colato tutto quello che sogno. Mi limito ai sogni che hanno almeno un po’ di capo e coda, perché lí riesco a leggere sottotraccia.
 
Un’altra cosa che mi sembra di poter dire dei sogni (almeno dei miei) è che, poco prima della dissolvenza, si fanno scappare due o tre sequenze del futuro che ti aspetta. Ed è sempre lí che si fermano, sul ciglio dopo il quale la previsione finirebbe per scadere nella profezia (e io alle profezie non ci credo). Al sogno di quella notte, poi, mancavano solo i sottotitoli.
 
Diego De Silva Terapia di coppia per amanti




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