martedì 3 novembre 2015

Chissà il solco di luna che cosa schiarisce col suo lume dolce, nei boschi remoti




Cesare Pavese : la cena triste (parte seconda) Proprio sotto la pergola, mangiata la cena. C'è lì sotto dell'acqua che scorre sommessa. Stiamo zitti, ascoltando e guardando il rumore che fa l'acqua a passare nel solco di luna. Quest'indugio è il più dolce. La compagna, che indugia, pare ancora che morda nel grappolo d'uva tanto ha viva la bocca; e il sapore perdura, come il giallo lunare, nell'aria. Le occhiate, nell'ombra, hanno il dolce dell'uva, ma le solide spalle e le guance abbrunite rinserrano tutta l'estate. Son rimasti uva e pane sul tavolo bianco. Le due sedie si guardano in faccia deserte. Chissà il solco di luna che cosa schiarisce, con quel suo lume dolce, nei boschi remoti. Può accadere anzi l'alba che un soffio più freddo spenga luna e vapori, e qualcuno compaia. Una debole luce ne mostri la gola sussultante e le mani febbrili serrarsi vanamente sui cibi. Continua il sussulto dell'acqua, ma nel buio. Né l'uva né il pane son mossi. I sapori tormentano l'ombra affamata, che non riesce nemmeno a leccare sul grappolo la rugiada che già si condensa. E, ogni cosa stillando sotto l'alba,e le sedie si guardano, sole. Qualche volta alla riva dell'acqua un sentore, come d'uva, di donna ristagna sull'erba e la luna fluisce in silenzio. Compare qualcuno ma traversa le piante incorporeo e si lagna con quel gemito rauco di chi non ha voce e si stende sull' erba e non trova la terra : solamente gli treman le nari. Fa freddo all'alba e la stretta di un corpo sarebbe la vita Più diffusa del giallo lunare che ha orrore di filtrare nei boschi, è quest'ansia inesausta. Cesare Pavese


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