sabato 21 marzo 2015

la fiducia, cura delle passioni tristi

la fiducia, cura delle passioni tristi - estratto

Il termine “fiducia” è di origine latina, ed ha un carattere non casualmente giuridico (la cultura romana è la cultura originaria del diritto, che dunque intende giuridicizzare tutte le relazioni umane). Essa designava l’atto con cui veniva affidato (fidere= porre fiducia) in custodia qualcosa ad una persona, che l’avrebbe poi restituita o data ad altri.
Anche la parola fede (fidem) è latina: essa indica l’adesione incondizionata (e dunque irrazionale) a qualcosa o a qualcuno.
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L’uscita dalla fede-fiducia originaria implica il passaggio ad una fiducia limitata e condizionata. Un altro esempio interessante citato dalla Marzano è quello dell’Idiota di Dostoevskij: il principe Miskin ha un’eccessiva fiducia negli altri, e questo lo porterà inesorabilmente alla rovina.
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3. Vediamo infine l’aspetto interindividuale, psicologico ed affettivo. Nella nostra epoca vi è una forte carenza di fiducia (o per lo meno, questa è la percezione che sembra prevalere): società del sospetto, simulazione e dissimulazione diffuse. Sfiducia simmetrica (io non ho fiducia nell’altro poiché suppongo che anche l’altro sia sospettoso nei miei confronti) contro una fiducia che è invece per sua natura asimmetrica: quando ho fiducia nell’altro, questo comporta sempre un salto nel buio, un rischio, una situazione incerta.

Pare oggi piuttosto prevalere un’estremizzazione, un’incapacità di modulare razionalmente la fiducia: si passa dalla credulità (sette, maghi, psicofarmaci, rapporti di dipendenza affettiva) allo scetticismo/complottismo.

Ma soprattutto, quel che notiamo è un inarrestabile processo di giuridicizzazione delle relazioni: esempio su tutti è quello del matrimonio (ben rappresentato in maniera umoristica, ma anche grottesca nel film dei fratelli Coen Prima ti rovino poi ti sposo), per non parlare della gestione dei figli. Le relazioni affettive finiscono cioè per reggersi su un impianto giuridico, cartaceo, astratto, più che su una dinamica di fiducia reciproca. Anche nel campo affettivo si riflettono il narcisismo e l’individualismo diffusi a livello sociale: ma come possono nascere un amore o un’amicizia duraturi (anche se non eterni), stabilire una qualunque relazione di fiducia con gli altri se non si è capaci di accordare loro per lo meno lo stesso grado di fiducia che accordiamo a noi stessi? E com’è possibile che ciò avvenga senza un certo margine di rischio, di esposizione e di incertezza? Uscire da sé implica sempre il pericolo del dolore e della sofferenza – delle passioni tristi – ma senza correre questo pericolo ci precludiamo anche la possibilità delle passioni liete e vitali.
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Vorrei concludere con un breve elogio sintetico e per punti della fiducia:

-la fiducia è sempre un salto nel vuoto, ma è la modalità attraverso cui è la vita stessa a presentarsi: la vita come possibilità, apertura al mondo, espansione e “potenza di essere”, secondo la visione spinozista;

-la fiducia è sempre in bilico tra dipendenza (affidarsi all’altro) ed autonomia (limitazione), fusione e separazione: ma questa è proprio la dinamica della crescita, che non può fare a meno di questa dialettica dell’identità e dell’alterità: io sono quel che sono grazie all’altro, il quale lo è reciprocamente grazie a me;

-è vero, come ripete spesso la Marzano, che la fiducia contiene in sé il germe dell’incertezza e del tradimento: solo da colui di cui ci si fida possiamo attenderci il tradimento. Ma l’unica alternativa a questa “esposizione” al rischio e all’incertezza sarebbe l’immobilità, la chiusura, la non uscita da sé – in ultima istanza una vita congelata, amorfa, pericolosamente somigliante ad uno stato di morte;

-la fiducia come “cura delle passioni tristi”, su tutte la paura. Tra due incertezze così radicali a quale sarà meglio affidarsi? Dare fiducia può innescare un vero e proprio circolo virtuoso e moltiplicatore della fiducia: anziché propagare la paura, come la peste, è possibile infondere e spargere fiducia. L’esempio che fa Michela Marzano, e che mi trova molto d’accordo, è quello tratto dall’episodio iniziale di un altro grande romanzo ottocentesco, I miserabili di Victor Hugo: il vescovo che accorda fiducia a Jean Valjean (nonostante il furto dei candelabri) innesca una catena moltiplicatrice di fiducia che si espande lungo tutto il romanzo, ma che è riconoscibile solo post-festum. Né il vescovo né l’evaso e nemmeno noi che assistiamo alla scena – nessuno sa ancora che cosa accadrà: il piccolo atto di fiducia (un vero e proprio dono) è un inizio denso di possibilità e di promesse, ma potrebbe anche rivelarsi l’ennesimo fallimento. Non accordarlo, però, avrebbe implicato una sconfitta ben maggiore: quella dell’umanità.


Mario Domina

                                            la botte di Diogene

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